27 Maggio 2019
Miele, situazione drammatica a Como-Lecco: raccolti azzerati e api a rischio

COMO-LECCO – Una situazione drammatica, e un annus horribilis come mai prima d’ora: gli apicoltori lariani si trovano a fronteggiare una situazione di assoluta emergenza, con la produzione di miele millefiori e acacia crollata per colpa delle piogge e del freddo che hanno sovvertito il normale sviluppo di stagione.
L’andamento climatico siccitoso del mese di marzo, seguito da un aprile e un maggio dal meteo particolarmente capriccioso (caratterizzato da vento, pioggia e sbalzi termici) non ha consentito alle api di trovare il nettare sufficiente da portare nell’alveare. Il risultato: il raccolto è crollato di oltre il 90, con punte di totale azzeramento per quanto riguarda l’acacia, una delle principali varietà prodotte sul territorio comasco e lecchese insieme a castagno e millefiori (fra le altre, è doveroso citare anche tiglio, rododendro, i mieli di piante aromatiche e la melata).

I danni per ciascuna impresa sono ingentissimi: a seconda della dimensione, si va da decine di migliaia di euro fino a diverse centinaia di mila euro per le realtà di consistenza maggiore. A parlare sono gli apicoltori di Coldiretti Como Lecco: Enrico Ranghetti, di Beregazzo con Figliaro definisce questo 2019 come “un anno nero: prima la grande, poi le basse temperature… in questi giorni, lo spettacolo è desolante, con i fiori d’acacia non fecondati che ricoprono le arnie. Il calo di produzione ammonta a oltre il 90%. Le api stanno morendo, stiamo correndo da un alveare all’altro per alimentare e tentare di salvarle. C’è ancora una forte escursione termica che impedisce alla stagione di decollare, le api escono ma non trovano il nettare. Anche quando c’è bel tempo, le basse temperature della notte finiscono con il pregiudicare tutto. La raccolta di miele di ciliegio e tarassaco è andata totalmente persa, solo nella mia azienda posso stimare 250 mila euro di danni, ma la situazione di crisi è globale e riguarda l’intero territorio. Ci eravamo trovati alla fine dell’inverno con popolazioni di api forti e vigorose… in poche settimane tutto è crollato irrimediabilmente”.

La situazione è omogenea in tutte le aree delle due terre lariane: a Casatenovo (LC) Fabio Villa (az. Maggiociondolo) fa i conti con una produzione ridotta all’osso “nelle zone di pianura e completamente azzerata in collina. I numeri parlano chiaro: nei posti considerati “migliori” siamo riusciti a produrre dai 5 ai 7 kg per arnia solo negli apiari nella zona di Vimercate, contro i 20 chili di media delle scorse annate. Nella zona di Missaglia, le rese sono ancora più basse, fino ad annullarsi nelle zone di più alta collina. Qui a Casatenovo, nulla: il poco miele prodotto, le api lo utilizzano giustamente per la loro sopravvivenza. A Castello Brianza e La Valletta, addirittura, le api rischiano letteralmente di morire di fame, e già da tempo siamo intervenuti per salvarle, fornendo artificialmente il nutrimento. Ovvio che, ai danni del mancato raccolto, si aggiunge quindi un ingente aggravio di costi necessari a far fronte alla situazione”.

L’azienda di Michele Bragastini si trova invece a Colico, con apiari anche in Val Varrone “dove – racconta egli stesso – stiamo continuando a fare la spola per alimentare e tener vive le api, che siamo riusciti a salvare per miracolo. Zero miele. I primi due raccolti sono saltati, un anno così è assurdo: non abbiamo mai dovuto alimentare le api a fine maggio. Certo, è colpa del clima: il freddo di aprile, con temperature crollate a 6-7 gradi ha compromesso tutto: alle piante necessitavano almeno 8-9 gradi in più per sviluppare il nettare necessario, e così oggi siamo di fronte a una situazione davvero imprevedibile e mai vista prima. Siamo preoccupati, ma anche molto delusi: avevamo fatto progetti e ci eravamo impegnati al massimo in vista di una stagione che, a questo punto, è compromessa dall’inizio. La mia impresa è di dimensioni modeste, ma tra mancato raccolto e spese di intervento possiamo già stimare una perdita di 20 mila euro”.

La situazione non cambia nella zona occidentale del Lario, tra il lago di Como e il confine svizzero: “Non mi arrendo, sto ancora tentando di raccogliere il miele di acacia, ma la realtà è desolante: su 60 casse avrò recuperato, sì e no, 5 chilogrammi di miele. In una stagione normale sarebbero stati 8 quintali” dice Giuseppe Bari, da San Bartolomeo Val Cavargna. “Speriamo che si possa cambiare rotta con il miele di rododendro, una varietà legata a specifici territori come il nostro. Intanto c’è da fare il conto con le spese: alimentare le api ha comportato l’utilizzo di quintali di sciroppo, e sono spese che si aggiungono ai danni da mancata produzione. Confidiamo inoltre nella produzione di castagno, con la speranza che l’andamento stagionale ritorni alla normalità”. Situazione difficile anche a Carlazzo, dove Andrea Ortelli conferma perdite di prodotto tra l’80% e il 90%: “Situazione drammatica che si ripercuoterà anche sul fronte della distribuzione, per la penuria di prodotto. E’ necessario vigilare, affinchè il commercio non sia invaso da prodotti stranieri senza garanzie”.

“Viva preoccupazione” è espressa anche dal presidente di Coldiretti Fortunato Trezzi. “Faremo di tutto per poter essere vicino ai nostri apicoltori, anche sollecitando gli opportuni interventi da parte delle istituzioni. E’ una situazione gravissima, che non si circoscrive peraltro alla sola produzione del miele poiché i principali prodotti ortofrutticoli dipendono completamente o in parte dalle api per la produzione dei frutti. Ma questi insetti sono utili anche per la produzione di carne con l’azione impollinatrice che svolgono nei confronti delle colture foraggere da seme come l’erba medica e il trifoglio, fondamentali per i prati destinati agli animali da allevamento.
Ora è necessario vigilare affinchè la carenza di prodotto non funga da chiavistello per le massicce importazioni di miele da paesi come la Cina, ai vertici per l’insicurezza alimentare: solo lo scorso anno, ne sono stati importati 2,5 milioni di chili, che si aggiungono agli 11,3 milioni dall’Ungheria”.

L’appello ai consumatori è di fare massima attenzione all’etichetta: il miele prodotto sul territorio nazionale dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina) è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della CE”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della CE”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della CE”.
(28/05/2019)

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