Si sono radunati a Milano in piazza Duca d’Aosta, esasperati da una situazione che non trova soluzione, per denunciare i continui attacchi dei selvatici a cominciare dai cinghiali, che con le loro incursioni distruggono i raccolti, rovinano le coltivazioni e minacciano gli animali allevati, senza contare gli incidenti stradali e le incursioni nei centri urbani. Ecco alcune voci e testimonianze di agricoltori e sindaci che hanno preso parte alla protesta organizzata da Coldiretti Lombardia.
“Quando ti trovi di fronte alla devastazione causata dai cinghiali, tutto il resto passa in secondo piano compreso i danni provocati da altre specie che qui da noi sono in particolare piccioni e nutrie – racconta Matteo Foi, allevatore di vacche da latte e cerealicoltore di Abbiategrasso (MI) -. Qui sono almeno vent’anni che abbiamo a che fare con gli ungulati che scorrazzano sui campi coltivati a mais, oltre che sui prati: arriviamo anche a 30 mila euro e più di danni diretti all’anno, ai quali vanno aggiunti i costi indiretti come quelli legati al fieno rovinato che finisce con l’ammuffire o la manutenzione periodica della recinzione elettrificata intorno all’azienda, che riduce le incursioni ma non le annulla”.
“Ogni anno è sempre peggio – spiega Angelo Casali, agricoltore di Berzo San Fermo (Bergamo) – Sollevano le zolle di terra nei campi, distruggono la cotica erbosa e il foraggio o si riempie di terra o non cresce più. Ogni volta devo perdere tempo e soldi per ripristinare il terreno, ma dopo poco ritorna tutto come prima”.
“Le nostre aziende sono martoriate dai cinghiali – interviene Alberto Buffoli, imprenditore di Vobarno (Brescia) - Nella nostra zona è diventato ormai impossibile coltivare il mais, mentre i foraggi vengono contaminati dalla terra che i cinghiali alzano rivoltando la cotica erbosa. Non possiamo più andare avanti così, servono regole chiare”.
“Ero quasi abituato alle incursioni di nutrie, volpi, tassi, corvi, dall’anno scorso devo fare i conti anche con i cinghiali – spiega Diego Amista, agricoltore di Motteggiana (Mantova) –. Se lo scorso anno sono riuscito a sostenere i danni, quest’anno hanno iniziato a farsi pesanti in particolare sui campi di mais appena seminati: la Provincia di Mantova ha accertato i danni, ma il ristoro che riceverò non terrà conto della perdita di resa che comporta una seconda semina e comunque resta l’incognita di cosa accadrà alle piantine nella fase di crescita, esposte alla voracità dei cinghiali”.
Grande preoccupazione anche per il pericolo della diffusione della peste suina africana (Psa), portata dai cinghiali. Per Riccardo Asti, cerealicoltore e allevatore di maiali a Pieve Fissiraga, in provincia di Lodi, “i cinghiali rappresentano un problema per la biosicurezza dei nostri allevamenti. Siamo costretti a stare sempre sul chi vive”.
“La diffusione dei cinghiali ci preoccupa molto perché sono vettori di malattia – conferma Benedetta Belotti, che alleva suini insieme al papà ad Agnadello (Cremona) –. Nella nostra azienda abbiamo sostenuto spese importanti per difendere i nostri animali da possibili contatti con i cinghiali. Abbiamo fatto le recinzioni, gli impianti per la disinfezione, abbiamo messo in campo tutte le soluzioni necessarie, accollandoci costi significativi. La situazione non può continuare così: in gioco c’è la sopravvivenza stessa dei nostri allevamenti”.
In piazza accanto agli agricoltori e agli allevatori anche i sindaci, che denunciano i problemi ambientali e di sicurezza pubblica. “La situazione è molto grave – spiega Luca Masneri, sindaco di Edolo (Brescia) — La presenza senza controllo dei cinghiali causa problemi idrogeologici perché il terreno dismesso e la modifica dei corsi d’acqua sui pendii creano frane e smottamenti. Non è solo una questione agricola, ne va di mezzo la sicurezza dei cittadini anche a causa dell’aumento della fauna selvatica che invade strade e paesi. Bisogna affrontare in modo pragmatico la situazione con un efficace contenimento dei cinghiali, la corretta gestione della caccia, con azioni di sterilizzazione, oltre che rendere facilmente commercializzabile la carne”.
C’è anche poi chi teme di dover abbandonare la propria attività, come Angelo Crispi, 38 anni di Porlezza (Como) che di anno in anno si trova a fronteggiare danni sempre più gravi causati dalla fauna selvatica, coi cinghiali che invadono a ripetizione, lungo tutto il corso dell'anno, prati e pascoli destinati agli animali del suo allevamento, che nel frattempo si è ridotto a poco più di venti mucche che vengono munte per la produzione di latte alimentare. “Andando avanti così - racconta Angelo –, potrei essere davvero costretto a prendere quella decisione che ho sempre rifiutato anche solo di considerare: ovvero chiudere la mia stalla e andare a lavorare in Svizzera, come tanti altri. Stipendi alti contro una situazione che, oggi, vede la mia azienda solo sopravvivere. I danni? Vengono sottostimati e pagati solo in parte”.
Anche chi gestisce alpeggi ha scelto di essere a Milano per far luce sulla condizione che si vive ad alta quota. “Negli ultimi anni la situazione è drammaticamente peggiorata anche in montagna – racconta Antonio Ciappesoni, allevatore di Bulciago (Lecco) – Due o tre anni fa la presenza dei cinghiali in alpeggio era oggettivamente inferiore rispetto alla pianura, ora il quadro è precipitato, con prati e pascoli devastati. Abbiamo appena portato le nostre bestie a Morterone, ma la situazione si prospetta difficile”.
“L’arrivo di cinque o sei cinghiali tutti insieme può essere devastante e provocare danni ingentissimi – conferma Gian Carlo Bongiolatti di Berbenno (Sondrio) – Il ribaltamento del cotico erboso rende il prato inservibile per un paio d’anni, in pratica non produce più nulla. Considerando le oggettive difficoltà dell’alpeggio, gli effetti del problema si moltiplicano e possono compromettere un’intera stagione”.