“I prezzi sempre più bassi ci stanno strozzando: avanti così e chiuderemo tutti”. Sono voci arrabbiate quelle che arrivano dalla prima linea della guerra del latte a Ospedaletto Lodigiano (Lo), davanti alla logistica in via Guglielmo Marconi cuore pulsante della multinazionale francese Lactalis, dove la Coldiretti ha riunito migliaia di allevatori provenienti da diverse regioni per denunciare la drammatica situazione in cui versano le stalle italiane.
“Con un prezzo sceso ormai ai 34 centesimi al litro non si può andare avanti: non copriamo nemmeno i costi di produzione – spiegano Emma e Daniela Ghidoni, due giovani allevatrici di Izano (Cremona) – Con orgoglio abbiamo ricevuto il testimone dal papà e dallo zio e con la stessa passione ci dedichiamo al nostro allevamento, ma oggi la situazione è diventata insostenibile”.
In presidio c’è anche Fausto Moro, allevatore 49enne di San Genesio (Pavia) dove manda avanti un’azienda agricola che esiste da quattro generazioni. “Siamo orgogliosi di produrre un latte sicuro, di alta qualità e al cento per cento italiano – sottolinea l’allevatore, che gestisce l’azienda insieme al nipote Simone Cesarini – Conferiamo il nostro latte a un caseificio artigianale che produce gorgonzola Dop, e abbiamo anche un distributore di latte fresco. I controlli servono per garantire che il latte italiano sia il più sicuro, il problema sono i costi inutili come quello della burocrazia”. “Per mantenere gli animali in salute e realizzare un prodotto di qualità servono sempre nuovi investimenti – aggiunge Stefano Stancari, produttore di Tripoli di San Giorgio (Mantova) – ma con il prezzo che pagano oggi le multinazionali è impossibile”.
In molti, di fronte a questa situazione, stanno pensando di chiudere: come Michele Martinelli, allevatore di Samolaco (Sondrio), o Giuseppe Pellegrini di Appiano Gentile (Como) che ha già ridotto il numero dei capi allevati: “Da 33 mucche in lattazione siamo passati a 10, ma se le cose non cambieranno pensiamo di mollare. Un peccato e un grande dispiacere, soprattutto perché c’è mio figlio che vorrebbe continuare”. Situazione analoga per Claudio Chiarini a Montichiari (Brescia): “La capienza della stalla costruita nel 2003 è per 300 bovini – spiega l’agricoltore – ma per colpa della crisi oggi ne mungiamo soltanto 200. Siamo in tre e lavoriamo almeno 13 ore al giorno, ma a fatica riusciamo a sopportare i costi di produzione:”.
“Dispiace buttare al vento tutto quanto la mia famiglia ha costruito – rincara Gianluigi Binda, di Bosisio Parini (Lecco) - ma non si può lavorare 365 giorni l’anno per nulla”. “Le aziende agricole che producono latte di qualità andrebbero premiate e non penalizzate, specie dalle industrie che raccolgono quel latte per destinarlo alla trasformazione” –aggiunge Paolo Zanotti, che a Casciago (Varese) ha un centinaio di capi. “Chiediamo solo che il nostro lavoro venga riconosciuto con un prezzo giusto – spiega Cinzia Marescotti, giovane allevatrice di San Zenone al Lambro (Milano) che fino a due anni fa lavorava nell’ambito dell’architettura - Mi sento frustrata perché a queste condizioni non riusciamo a programmare il nostro futuro”. “Quello che finora mi ha fatto andare avanti è la passione – ribatte Alice Madonini di Secugnago (Lodi) – Ma da sola non basta più”.