Il dr. Scotti ha deciso di vendere. Lo riportano i quotidiani di questi giorni: almeno un pezzo del marchio di riso più conosciuto in Italia, pari al 25%, passerà di mano dalla famiglia pavese al colosso industriale Ebro Foods, spagnolo, detentore di sessanta etichette in venticinque diversi paesi.
“Temiamo sia un processo di non ritorno – commenta Giuseppe Ghezzi, presidente della Coldiretti di Pavia – da tempo assistiamo ad una campagna di conquista dei prodotti simbolo dell’Italia e della nostra qualità in tavola. Dall’olio al vino, dal pomodoro al latte, ora anche il riso diventa terra di conquista per multinazionali dell’alimentazione che dapprima favoriscono l’importazione di materie prime straniere per confezionare prodotti italiani, portando poi al rischio di chiudere definitivamente lo stabilimento nazionale per trasferire la produzione all’estero.
Dopo Parmalat, Gancia, Buitoni, Cademartori, Locatelli, Sasso, Carapelli, ora anche il nome Scotti, simbolo di pavesità, assume un accento straniero.Una strada che porterà alla delocalizzazione, alla produzione di derrate alimentari standardizzate che baseranno le proprie caratteristiche sull’uniformità e non sulla qualità e sulla diversità che solo le coltivazioni legate al territorio, alla sua storie e alla tradizione sanno offrire”.
Pavia è la capitale del riso, in Italia e in Europa, con una superficie di oltre 82.000 ettari coltivati e una produzione di quasi 5 milioni di quintali, varietà come il Carnaroli, l’Arborio, il Vialone Nano, il Baldo e il Roma che hanno fatto grande il nome del riso italiano nel mondo grazie alla superiore qualità ottenuta dalla coltivazione appassionata dei risicoltori italiani.
Un sistema delicato e fragile che garantisce reddito e lavoro, solo in provincia di Pavia, per quasi 1600 risicoltori su 4400 totali e che mantiene in equilibrio un areale umido di grande valore ambientale. “Un tessuto, radicato nella cultura pavese – conclude Ghezzi - che vede anche la presenza dei tre più importanti marchi di riso nazionali e che deve essere difeso attraverso un progetto che valorizzi veramente la risicoltura italiana e si impegni su un Made in Italy che, oltre al marchio, sappia anche proporre cibo italiano, governato da imprese italiane sensibili alla tutela del vero prodotto tricolore”.